Prostituzione. Sempre più straniere, sempre più al chiuso
BOLOGNA - Venti anni di ricerche per studiare il fenomeno della prostituzione in Italia, uno dei più controversi legati alla globalizzazione economica. Venti anni in cui il mercato del sesso ha vissuto una vera e propria metamorfosi in concomitanza alle migrazioni internazionali femminili: “Uno studio sui rapporti tra prostituzione, comunità e autorità locali”. Lorenza Maluccelli, esperta e studiosa, riassume così il focus del suo lavoro – arrivato a conclusione di un dottorato di ricerca all’Università di Nottingham – dal titolo: ‘Pressioni globali, misure locali: la prostituzione di strada nella provincia italiana’. Tre i processi affrontati: l’insediamento della prostituzione sul territorio; gli effetti sul tessuto sociale; il ruolo delle istituzioni nella gestione locale di un fenomeno globale.
Lo studio parte dagli anni ’90, il periodo del boom dell’industria sessuale globale. Molti studi di settore hanno dimostrato come in quel periodo a mettersi sul mercato – complice anche l’accelerazione dei processi comunicativi – non erano più solo i Paesi cosiddetti sviluppati (Europa, Usa. Giappone, Australia), ma anche i Paesi meno avanzati, tra cui l’ex blocco sovietico e il sud-est asiatico. “In Italia, i gruppi prevalenti erano le nigeriane e le albanesi”. Oggi l’87 per cento delle persone che si prostituiscono in Europa sono donne, di cui quasi il 70 per cento immigrate (percentuale che in Italia sale quasi al 90 per cento). “Sui flussi nel continente europeo, oltre alla prossimità geografica tra i Paesi d’origine e quelli di destinazione, ha avuto un effetto importante sia la caduta dei regimi sia il processo di allargamento dell’Unione: il numero di sex workers rumene e bulgare, passa dal 7 al 26 per cento dopo l’entrata dei due Paesi in Europa il 1° gennaio 2007”, scrive nella ricerca.
Maluccelli passa poi ad analizzare gli effetti sul territorio, la risposta dei cittadini. “A metà degli anni ’90 nascono numerosi comitati cittadini per denunciare una poca sicurezza di volta in volta messa in pericolo da tossicodipendenti, nomadi e prostitute. Un’insicurezza crescente fonte di fastidi e proteste. Le sex workers che lavorano in zone dove c’è la presenza di spaccio si trovano in mezzo a manifestazioni di intolleranza più violente, dato il legame che viene presupposto tra le due figure ideali del ‘bazar’ urbano, prostituta e spacciatore: da lì nasce il conflitto che ogni comunità è chiamata a gestire secondo le proprie modalità”. E qui, Maluccelli passa da un’analisi generale a una specifica, e mette l’accento sul caso dell’Emilia-Romagna, perché caratterizzata da un forte tessuto associativo e da spiccate virtù civiche. Un’indagine svolta utilizzando i dati di monitoraggio raccolti dalle Unità si strada nel database regionale. “I sindaci emiliano-romagnoli sono stati in prima linea nel chiedere allo Stato maggiori competenze perché fossero in grado di rispondere alle nuove domande sociali, per cui mette in campo anche le famose e numerosissime ordinanze che vietano la prostituzione visibile all’interno dei confini delle città”.
Terzo capitolo, l’analisi della geografia urbana del fenomeno. La ricerca mostra come, tra 1996 e 2012, la prostituzione di strada si concentra sulle due direttrici principali: la via Emilia (strada statale 9) e l’Adriatica (strada statale 16), le due arterie su cui sorgono tutti i capoluoghi. “Il processo spaziale che per primo balza all’occhio dallo studio del ventennio è lo sprawl della prostituzione di strada, la sua dispersione, il suo allontanamento dai grandi centri urbani”, spiega Maluccelli. Una dinamica fortemente legata alla crescente richiesta di sicurezza da parte dei cittadini, “nel nome della quale i comuni rivendicano nuove competenze e poteri” . Tra 2005 e 2007 la tendenza si è parzialmente invertita: “È cominciata una timida urbanizzazione, non solo verso i capoluoghi ma anche verso i centri abitati minori. “Quello che ormai è chiaro a tutti è che, a seguito di quello che io chiamo ‘proibizionismo’, il mercato del sesso si è completamente riorganizzato: oggi nel 50 per cento dei casi opera al chiuso”. Il grande assente in tutto ciò? Una lettura politica, una riforma nazionale che uniformi tutte le normative locali: “Nessuna opzione alternativa all’ordinanza viene avanzata dagli amministratori per raccogliere la domanda dei cittadini e produrre una diversa collocazione spaziale del fenomeno, a parte poche, inconcludenti eccezioni”.
Il lavoro di Lorenza Maluccelli è stato presentato questo pomeriggio in Regione in occasione dell’incontro di formazione ‘Geografie urbane della prostituzione di strada in Emilia-Romagna’. (ambra notari)