Il presidente e una componente dei gruppi di lavoro raccontano 5 mesi di impegni pressanti e ritmi serrati, tra professionalità, studio, rinunce e passione
ROMA – Due anni di studi e ricerche, registrati sotto il nome di “Stati generali dell’esecuzione penale”, con migliaia di pagine di documenti da passare al setaccio e tradurre in norme. Poi la nomina delle commissioni, a luglio, e l’avvio di incontri, confronti, scontri, anche, per sostenere le proprie posizioni e aprirsi a quelle degli altri. Una spada di Damocle a forma di clessidra sulla testa di ognuno, a dettare i ritmi serratissimi di un lavoro non retribuito, svolto solo per passione e dovere verso lo Stato. E, alla fine, la soddisfazione di aver contributo a scrivere una parte delle leggi che mirano a cambiare la vita a migliaia di persone, e, con esse, una pagina importante della storia del nostro Paese: quella che vuole riportare sullo stesso binario le parole carcere, giustizia e dignità.
Ma cosa significa lavorare in una commissione ministeriale, quali sono gli impegni, i tempi, gli imprevisti? Lo abbiamo chiesto al presidente della Commissione per la riforma dell’ordinamento penitenziario e coordinatore delle altre due commissioni (minorile e misure di sicurezza), Glauco Giostra, già coordinatore del comitato scientifico degli Stati generali e al timone, in passato, di altre commissioni ministeriali. E alla giurista Lina Caraceni, docente di Diritto penitenziario all’Università di Macerata e componente della Commissione sui minori.
“E’ la prima volta che parlo dei lavori della Commissione che ho avuto l’onore di presiedere – spiega il presidente Giostra -. Ed è la prima volta per una precisa scelta: ci è sembrato inopportuno, a me e a tutti i componenti delle Commissioni, riferire delle proposte che andavamo elaborando prima che il Ministro operasse le sue scelte politiche. Posso dire che l’impegno delle Commissioni è stato davvero eccezionale, non pensavo si potesse contare su studiosi e professionisti di prim’ordine che in modo assolutamente gratuito fossero disposti a sacrificare ferie estive, impegni professionali, doveri familiari per cercare di imbastire, in tempi strettissimi, la più importante riforma penitenziaria dopo quella del 1975. Ovviamente, senza neppure la gratificazione di un riconoscimento o di un sostegno esterno. Anzi”.
Come è cominciata questa nuova esperienza professionale?
“Tutto è iniziato alla fine di luglio, quando il Ministro Orlando, nel discorso di insediamento delle tre Commissioni, ci ha precisato che l’anno previsto per l’esercizio della delega si riduceva a pochissimi mesi, incluso quello di agosto. Era consapevole del sacrificio che ci chiedeva, ma dovevamo far del tutto per conseguire l’obbiettivo, magari consegnando parti del lavoro strada facendo. In particolare, per quanto riguarda la mia Commissione, ci siamo subito organizzati in Sottocommissioni tematiche (di cui è traccia evidente nell’impianto dello schema di decreto legislativo approvato ieri). E dopo aver lavorato separatamente in estate, a settembre abbiamo iniziato l’esame in plenaria delle proposte formulate dalle singole Sottocommissioni”.
Che aria si respirava all’interno delle Commissioni?
“Si è trattato di un lavoro serrato e ultra vires – spiega Glauco Giostra -, ma condotto sempre con grandissima motivazione ideale. Ci si incontrava tutte le settimane per due giorni al Ministero. Si usciva provati da quelle riunioni no-stop, ma con soddisfatto entusiasmo. Il week end, poi, era dedicato alla messa a punto di quanto deciso in Commissione, alla elaborazione di una relazione illustrativa, alla predisposizione di ‘emendamenti’ migliorativi, al coordinamento delle proposte delle diverse Sottocommissioni. Ricordo scambio di mail alle 4 del mattino, quando chi riusciva a tirare in lungo la notte passava ‘il testimone’ a chi sapeva essere già operativo in ore antelucane. So bene che dall’esterno tutto ciò possa apparire poco credibile o, peggio, retorico. In tempi come questi in cui conta più chi parla di chi lavora, chi critica di chi costruisce, si guarda con comprensibile incredulità ad una narrazione che riferisce di autorevoli professionisti che hanno dato ogni energia per servire una causa ideale, ben sapendo che nessuna gratitudine sarà loro espressa e nessuna critica sarà loro risparmiata. Eppure le cose stanno proprio così”.
“Pur provenendo da esperienze e storie molto diverse – sottolinea il presidente -, respiravamo un senso di appartenenza ad una squadra e ad un importante compito civile. Ma non posso concludere questa risposta senza dirle che abbiamo avuto sempre durante i lavori, fatto non meno anomalo per la mia ormai non breve esperienza, una stimolante interlocuzione e un proficuo dialogo con il Capo dell’ufficio legislativo, in uno spirito di costruttiva e serena collaborazione, pur nella diversità dei ruoli. Come pure abbiamo potuto contare, in tutti i momenti più delicati, sul costante, convinto sostegno del Capo di Gabinetto. Ora continueremo ad affiancare il Ministro nel corso del successivo iter istituzionale della riforma, con la speranza che riesca nel non facile compito di condurre in porto questo suo alto disegno innovatore, cui ha lavorato con lungimiranza sin dall’istituzione degli Stati generali dell’esecuzione penale”.
Professione: docente di Diritto penitenziario all’Università di Macerata, Lina Caraceni ha fatto parte della Commissione presieduta dal magistrato Francesco Cascini e che si è occupata del settore minorile.
“La mia esperienza è stata davvero straordinaria – racconta la docente -, un’occasione dal punto di vista personale e professionale di grande crescita. Perché un conto è studiare le norme, un altro è produrle. Bisogna tenere conto dell’obiettivo che si vuole raggiungere e scriverlo in poche righe. Occorre che abbiano un linguaggio tecnico appropriato, comprensibile e mantengano il significato che si vuole dare a quelle parole. Non è così semplice, soprattutto quando si lavora da punti di vista diversi, tenendo conto delle professionalità e anche del retroterra culturale che ognuno porta con sé. E’ un lavoro complesso ma molto stimolante e arricchente proprio perché il tuo punto di vista si deve confrontare e resistere, a volte, alle obiezioni che nascono dagli altri. E da questo confronto costante e costruttivo viene fuori, poi, la sintesi delle posizioni, quella che ci consente di raggiugere l’obiettivo”.
Dal punto di vista personale che cosa vuol dire lavorare in commissione?
“E’ stata un’esperienza straordinaria ma anche molto faticosa – sottolinea Lina Caraceni -: io non ho avuto un giorno di ferie o di riposo dal 19 luglio. Perché devi lavorare ai testi su cui poi ti confronti, una volta che hai partecipato alla discussione si torna a casa e si ragiona sui punti di vista proposti dagli altri per vedere di trovare la quadra delle diverse posizioni. Ogni tanto arriva uno stimolo da qualcuno e si ricomincia a lavorare, daccapo. Ed è stato così, ogni giorno, dal 19 luglio. Ovviamente tutto deve essere conciliato con la vita personale e quella professionale perché niente può restare in sospeso e il lavoro della commissione è qualcosa che si aggiunge a quello che già stai facendo. E, anzi, che dà anche un altro senso a quello che stai facendo: per esempio, per un professore universitario aver lavorato alla stesura di un testo che poi dovrà spiegare ai propri studenti nelle aule, significa aver un punto di vista privilegiato, che ci consente anche di trasmettere ai nostri studenti, che saranno poi gli operatori della giustizia di domani, il significato e il senso profondo che sta dietro un testo che hai contributo a elaborare”. (Teresa Valiani)