La necessità di avere un corpo da sogno si presenta abbastanza presto nelle ragazzine di oggi. Necessità che prodotta dal sociale assume la forma, in molte ragazze e donne (ma anche negli uomini), di una volontà testarda di abbellirsi rimanendo sempre snelle, di “metamorfosarsi” soprattutto verso la quarantina, per avere un corpo su misura. Le riviste, le foto, i manifesti, gli spot televisivi, ma anche la chirurgia plastica si intromette “imponendo” la felicità alle nostre adolescenti. Quindi, sin da giovanissime vi è una richiesta spasmodica di essere un’altra persona e cadere così nella patologia chiamata “anoressia”. In questo spaccato l’autore si allontana dall’ambiente familiare, in cui la figura materna viene fin troppo colpevolizzata, e suggerisce a chi ha problemi di comportamento alimentare di praticare la danza. Danzare significa utilizzare in modo positivo le preoccupazioni alimentari. La danza utile per trasformare la malattia in qualcosa di sacro, in quanto implica la sublimazione di tutto ciò che è corpo, slancio vitale, desiderio, passione. I casi descritti nel volume mostrano come questa strada sia percorribile, e lo testimoniano le ragazze anoressiche che in seguito hanno intrapreso la carriera di ballerine anche di fama internazionale, come Carolyn Carlson e Leila da Rocha. La danza pertanto in Occidente sembra – secondo l’autore - una soluzione creativa possibile là dove l’anoressia si rivela totalmente deleteria. Perché la danza riesce a volte a trasformare la malattia in qualcosa di sacro e tuffi ogni giorno l’anoressia nel presente per estrarne frammenti di eternità.