Palestina, la doppia discriminazione delle donne con disabilità
RIMINI – “Entrare nella Striscia di Gaza ha cambiato radicalmente la mia vita. Da allora guardo il mondo da una nuova prospettiva. Io sono una donna con disabilità che tutto sommato ha avuto una vita ‘facile’: sono italiana, ho potuto studiare, viaggiare, muovermi. Quando ho scoperto le reali condizioni di vita dei palestinesi e, soprattutto, delle donne con disabilità sono rimasta sconvolta: come possiamo accettare una situazione simile?”. Rita Barbuto è la direttrice di Dpi Italia onlus (Disabled People’s International): elabora e gestisce progetti internazionali sulla disabilità. È formatrice per la ong riminese EducAid, ed è stata la prima persona su sedia a ruote a entrare nella Striscia di Gaza per svolgere attività di peer counseling, una metodologia di empowerment che prevede uno scambio tra pari.
“È stato traumatizzante il trattamento che ho subìto ai varchi tra Israele e la Striscia – racconta –. Non smettono di guardarti con sospetto. Poi ho scoperto il popolo palestinese: hanno una dignità enorme. Mi hanno chiamato come esperta sui temi della disabilità, in realtà sono stati loro che hanno insegnato moltissimo a me”. Rita porta avanti questa attività dal 2012: lavora con i giovani con disabilità, con le donne con disabilità e con le donne che hanno figli con disabilità. Il primo gruppo di peer counseling della Striscia era composto da 20, 25 ragazzi. Loro hanno “contagiato” centinaia di persone con disabilità – anche acquisite, per ferite riportate nel conflitto – : “È questa la chiave per il cambiamento”.
Rita Barbuto è stata la formatrice anche delle ragazze protagoniste della mostra “I am a woman. No less and no more” alla Galleria dell’Immagine di Rimini fino al 28 ottobre, un itinerario fotografico creato da Andrea e Magda photographers all’interno di un progetto di cooperazione internazionale realizzato in Palestina dalla ong riminese EducAid. Tra le protagoniste, la 26enne di bassa statura Mona, che dopo un corso di sartoria, disegna, cuce e vende su Facebook abiti tradizionali palestinesi per persone di bassa statura. Kifah e Sumaya, invece, sono 2 fotografe albine: “Anche se in famiglia siamo in 4 a essere albini, i dottori non hanno mai usato questa parola. Abbiamo cercato su Google ‘albinismo’ e abbiamo scoperto che c’era un mondo là fuori”. Poi ci sono ragazze cieche, ipovedenti, sorde, con una disabilità motoria, che sono ricamatrici, tappezziere, cantanti, impiegate, truccatrici, parrucchiere, assistenti sociali, insegnanti, pasticcere, pittrici. Ci sono Hana, Lara, Basma, Ranin, Aziza, Ayya, Ahlam, che da 8 anni ballano la Dabka nel Deaf club della Red Crescent Society: “Il nostro coreografo ci aiuta con i gesti per il ritmo. Dimostriamo alla gente che la nostra sordità non ci impedisce di fare nulla, neanche di ballare”. C’è Leila, con un disturbo al linguaggio e uno all’udito, che ogni settimana conduce il programma “La disabilità non ci fermerà” su Siraj Radio.
“Per ognuna abbiamo studiato un progetto triennale di cambiamento personale, sociale e culturale – continua Barbuto –. L’inserimento lavorativo è la chiave per l’inclusione, per emanciparsi in un contesto di vulnerabilità”. Come sottolinea, le donne disabili palestinesi sono vittime di una doppia discriminazione: sono donne e sono disabili. Obiettivo dei percorsi di empowerment, avere una maggiore consapevolezza di se stessa e dei propri diritti (a partire dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità), trovare il coraggio di fare sentire la propria voce, provare a realizzarsi, diventare consapevole dei rischi eventuali che il mettersi in gioco comporta. “Le persone con disabilità che hanno raggiunto un obiettivo diventano modelli per tutte le altre nelle loro condizioni, che cominciano a pensare ‘se ce l’ha fatta lei, posso farcela anche io”. A un anno dall’avvio dal progetto, Rita racconta di aver trovato trasformate le ragazze: pronte a parlare in pubblico delle proprie condizioni, coscienti dei propri diritti, consapevoli delle proprie fragilità: “Conoscere i propri limiti è il primo passo per scoprire le potenzialità. Prossimo step, un’autonomia piena e una vita indipendente, che poi è quello a cui tutte ambiscono”.
“Ho avuto la conferma dell’alone di discriminazione, violenza ed esclusione che circonda ogni persona che ha delle caratteristiche che non corrispondono a standard fisici, culturali e sociali stabiliti in modo pregiudizievole da uomini dominati dal mito dell’essere perfetto che essi stessi non rappresentano”, scrive Barbuto nella prefazione del catalogo della mostra. Rita nel 2001 ha cominciato attività di peer counseling all’Università della Calabria. Quell’anno erano 70 gli studenti con disabilità iscritti, oggi sono 700. “I primi ragazzi sono diventati agenti di cambiamento: accompagniamo gli studenti dall’iscrizione sino alla fine del percorso di studi. C’era anche un alto tasso di abbandono degli studi da parte degli studenti con disabilità: grazie al peer counseling molti sono tornati”.
Sempre a Rimini, martedì 18 settembre Rita Barbuto e Giampiero Griffo saranno tra i relatori di “Disabilità ed emancipazione” (ore 17, Chiostro Biblioteca Gambalunga), convegno organizzato in occasione di “Nulla su di noi, senza di noi”, una giornata di incontro e riflessione sul tema delle disabilità. A seguire, visita guidata alla mostra “I am a woman. No more and no less”. Alle 19.30 aperitivo a base di prodotti palestinesi e alle 21, al Teatro degli Atti, Roberto Mercadini in “Diversamente disabili”. (Ambra Notari)