8 ottobre 2015 ore: 11:23
Economia

Se il voto di povertà si annacqua: proposta alle suore per liberarsi del superfluo

La scelta della sobrietà, fondamentale nella vita religiosa, appare sempre più rosicchiata dal quotidiano. Con giustificazioni rocambolesche. E se tutti gli oggetti non necessari si vendessero nei mercatini per finanziare l’accoglienza o nuovi progetti educativi?

Sobrietà, povertà, essenzialità: nella vita religiosa non sono un vezzo sinistrorso o una moda passeggera, ma un voto professato. Il voto di povertà, appunto. Che viene rosicchiato dalla quotidianità, se manca l’attenzione necessaria, e scivola nella comodità. In uno stile di vita che tende all’accumulo invece che alla donazione di sé e delle proprie cose. Invece della spoliazione, la vestizione: troppi cambi d’abito, troppi oggetti di cui si può fare a meno, troppo di tutto, in una voracità compulsiva senza fine.

È un rischio che corrono anche i laici, per carità. Ma ho davanti agli occhi esempi di suore quasi scarnificate dalla loro povertà, perché non dettata dal rigorismo ma da una oblazione autentica di loro stesse che risplendeva per femminilità e maternità spirituale, e al contrario testimonianze negative di coloro (preti, suore, religiosi, seminaristi) che si lasciano appesantire dalla zavorra, fino a dimenticare il senso profondo della loro scelta di consacrazione.

Pesca di beneficenza

Si comincia, durante o dopo il noviziato, durante o dopo il seminario, con qualche libro in più. Poi l’icona della Sacra Famiglia che non può mancare (per l’unione intrinseca con i laici da visualizzare fisicamente con la contemplazione), il rosario comprato a Lourdes e il quadretto regalato dagli amici della parrocchia. Che male c’è ad avere il copribreviario in cuoio fatto a mano o in pelle, invece che in similpelle? E poi lo smartphone ultimo modello, perché serve come il pane per la pastorale, la macchina ultimo modello per spostarsi (quella vecchia del 2000 era rovinata, anche se andava ancora bene meglio cambiarla con una nuova), un paio di scarpe in più e quel giaccone antipioggia che non era necessario ma può sempre servire. Ancora: zaini, zainetti, marsupi e tracolle per ogni evenienza di viaggio, camposcuola e gita parrocchiale. Aspetta, l’iPad può tornare utile se non si ha il pc portatile a portata di mano… E poi qualche scorta di biancheria, di bigliettini augurali, di penne e pennarelli per gli studi. Gli evidenziatori, mi raccomando, di marca, altrimenti si scaricano subito.

Di veli ne bastano due ma meglio averne quattro, e vuoi fare a meno dell’abito estivo con i bottoni e con la lampo? Lo stereo personale serve per imparare i canti da eseguire a Messa, e che tristezza i copriletti tutti uguali, meglio farsene regalare uno coloratissimo. Poi al rinnovo dei voti arrivano le buste con i soldi ed è un bene spenderli tutti per nuovi libri e cd, tutti utili per l’impegno missionario, s’intende. Tutto si mescola, tutto viene messo in un grande calderone dove la povertà in senso letterale assume accenti e sfumature, con rocambolesche giustificazioni viene piegata ai propri desideri leciti o meno leciti. È l’annacquamento del vino che diventa sbiadito e perde il suo sapore.

Una proposta: e se le comunità religiose organizzassero delle pesche di beneficenza o dei mercatini solidali con queste quantità di cose superflue? Forse i fondi raccolti servirebbero a finanziare l’accoglienza di un migrante, o il sostegno a un rifugiato, o un aiuto a una famiglia in difficoltà, o l’acquisto di materiali per l’igiene personale che i detenuti poveri e i soli non possono comprare. O una donazione alle missioni di un altro istituto religioso, o il lancio di un progetto educativo per gli adolescenti. O infinite altre iniziative, perché la solidarietà non ha confini. L’importante è aprire gli occhi su chi ci sta vicino, molto vicino, e staccarli dall’immagine narcisistica di sé rimandata da uno specchio o dallo schermo di un iPhone.

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