9 agosto 2012 ore: 14:04
Disabilità

Cavagnini, l’uomo immagine del basket azzurro: “Lo sport ridona la vita”

Bresciano trapiantato a Roma, è il capitano della nazionale di weelchair basket. Incidente in moto a 14 anni, due per riprendersi dallo choc. Poi lo sport, l’agonismo, il matrimonio e la nascita di due figlie. “Non si deve mollare mai”
Cip - Comitato italiano paralimpico Paralimpiadi: Londra 2012 - Matteo Cavagnini, capitano della nazionale di basket in carrozzina

Paralimpiadi, Londra 2012. Matteo Cavagnini

ROMA - La mattina è un serioso sistemista informatico della Federazione italiana canottaggio, il pomeriggio si trasforma nel pilastro della sua squadra di club, il Santa Lucia Roma, dove gioca nel ruolo di lungo, pivot, e difficilmente fallisce il tiro a canestro. Quando è l’Italia, invece, a muoversi su e giù per il mondo, lui è tra i convocati certi, da ormai 13 anni. Una carriera brillantissima, quella di Matteo Cavagnini, 37 anni, bresciano trapiantato nella Capitale da ormai un lustro, e prima ancora per tre stagioni alla Briantea Cantù e per due al Padova Millennium Basket, cui deve l’esordio in azzurro. Uno dei volti belli e vincenti del movimento paralimpico, quanto a fair play, umiltà, moderazione e personalità in campo e fuori, Matteo all’anagrafe è sposato e padre di due bambine. Una fama per nulla cercata, o alimentata, lo vuole tombeur de femmes, forse per lo sguardo glaciale e fiero, che lo fa assomigliare più a un antico e coraggioso gladiatore che a un cestista in carrozzina dei giorni nostri. «Invece sono un tipo molto tranquillo, io – dice –. E amo trascorrere il tempo libero con la famiglia, gli amici e le mie figlie, soprattutto, che sono legatissime a me e che soffrono molto le mie assenze per trasferta».

Sta più fuori che a casa, infatti, Matteo Cavagnini: ogni stagione porta con sé una sfilza inimmaginabile di convocazioni, raduni, tornei, trofei nazionali e continentali. Per non parlare di Europei e Mondiali. O di Paralimpiadi. Prima di un grande evento, racconta, «ci sono grande tensione, pressione e nervosismo: ne sa qualcosa mia moglie, che deve sopportarmi, ma lei sa come prendermi e cosa dirmi; e io sono consapevole che, quando finirà la mia carriera, tutto questo mi mancherà terribilmente». La carriera di Matteo (in bacheca tre titoli europei 2003, 2005 e 2009 con la Nazionale, oltre a scudetti, Coppe Italia e Supercoppe) nasce da «una banalissima caduta dal motorino. Avevo 14 anni, andavo a prendere il latte e ho tagliato la strada, con un po’ di spavalderia, pensando che non potesse succedermi nulla. Mi sentivo invulnerabile, come tutti i ragazzi – racconta – e invece è arrivata una macchina che mi ha travolto». «È stata durissima, inizialmente non lo accetti: ci ho messo due anni a realizzare che la nuova vita era una vita da disabile, senza una gamba». Poi le prime protesi («ho riassaporato il gusto di tornare in piedi, mi sono risentito quasi normale») e l’invito di due amici a provare con il basket: "È proprio in quel momento, sedendomi sulla carrozzina per giocare, che ho accettato pienamente la mia disabilità». Il ricordo sportivo più bello, l’oro a Parigi agli Europei nel 2005: "Non potrò mai dimenticarlo. Due anni prima a Sassari ero più che altro una riserva, a Parigi invece sono stato protagonista». Il ricordo più brutto, invece, la mancata qualificazione ai Giochi di Pechino 2008: «Abbiamo imparato che anche nella sconfitta si può vincere, restando uniti come gruppo e continuando a credere nel proprio valore: solo così, dopo il fallimento di Pechino, è potuto arrivare l’oro europeo di Turchia 2009. Il lavoro paga, non si deve mollare mai».

Lui, appassionato di Harry Potter ("un libro che mi ha fatto impazzire per quanto è bello"), capace di piangere ascoltando la colonna sonora di Braveheart, amante del pesce cucinato dal compagno di Nazionale Galliano Marchionni nel ristorante al Lido Fand, sulla spiaggia di Giulianova, il suo futuro se lo immagina sempre nell’ambiente sportivo: «Sto finendo un master in management dello sport, per capirne le dinamiche e i meccanismi amministrativi e politici». Nel frattempo è certo che lo sport gli ha «regalato tutto: sacrifici, obiettivi e traguardi da raggiungere. A me, ha ridato la vita». (ska)
 
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