Migranti riportati in Libia, Sea Watch: “E' respingimento”
ROMA - Dopo una giornata di sos, rilanciati sui social dalla piattaforma Alarm Phone, le 100 persone che erano a bordo di un barcone nel Mediterraneo centrale, sono state riportate indietro, a Misurata in Libia. Ad intervenire è stato il cargo Lady Sharm, battente bandiera Sierra Leone, dopo sollecitazione del governo italiano. Il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli parla di un “salvataggio” nel pieno “rispetto dei trattati internazionali”. Ma l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati non è dello stesso avviso: come sottolinea la portavoce Carlotta Sami, “il ritorno di persone da acque internazionali verso la Libia è contro il diritto internazionale”.
“Quando si dice che è stato un successo aver fermato questo barcone, non si considera che questo successo è stato ottenuto sulla pelle delle persone - spiega Sami a Redattore sociale -. La conseguenza sarà solo accrescere il numero di persone nei centri di detenzione, che poi verranno di nuovo messe su un barcone dai trafficanti”. Secondo quanto ricostruito dai messaggi arrivati ad Alarm Phone, a bordo dell’imbarcazione c’era anche un bambino in gravissime condizioni. “Le persone sono rimaste in mare almeno 15 ore: si parla di ipotermia, di congelamento e forse di un bambino deceduto o comunque grave - spiega -. Ora vengono riportate in un paese non sicuro, dove non potranno ricevere cure mediche adeguate. Saranno di nuovo nei centri di detenzione, le cui condizioni sono note a tutti. Oggi in Libia ci sono scontri e violenze all’ordine del giorno, ci sono migliaia di libici sfollati. Le persone sono state salvate in acque internazionali non dovevano essere riportate in Libia - aggiunge la portavoce dell'Unhcr -. Questo si configura come un precedente pericoloso”. Per Sami, come ribadito oggi dall’Alto commissario Filippo Grandi, in un’intervista al Corriere della Sera, la strategia dei porti chiusi è un errore: "i governi utilizzano il tema degli sbarchi per fare politica, ma questa strategia non serve a niente se non a crea pressione tra i governi. Tutto questo sulla pelle di esseri umani che scappano da condizioni disastrose e che in questa situazione sono stati messi da criminali. Ci chiediamo come Nazioni Unite perché porre tutto questo investimento politico sul respingimento e non sul contrasto vero al traffico di esseri umani”.
Secondo Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch ci sono tutti i presupposti per parlare di un respingimento. “Il ministro Toninelli non considera i trattati internazionali che il nostro paese ha sottoscritto a partire proprio dalla Convenzione di Ginevra, la Cedu, la Convenzione contro la tortura. Oltre al principio di non respingimento sono state violate le convenzioni di diritto del mare: la Libia non è un porto sicuro di sbarco - spiega - Si insiste sul coordinamento libico e questa volta c’è stato un pesante coinvolgimento dell’Italia, palazzo Chigi è direttamente intervenuto, ben oltre il livello operativo. C’è quindi anche una responsabilità italiana rispetto alla gestione di questo caso”.
La Sea Watch 3 da due giorni è in mare con 47 persone a bordo, tra cui 8 inori non accompagnati. E, di nuovo, non sta ricevendo indicazioni sul porto di sbarco. “Mandiamo email a tutti: Malta, Italia, Libia e Olanda, chiedendo indicazioni e nessuno dice nulla - aggiunge Linardi -. I libici non hanno mai risposto al telefono. Queste non sono situazioni che può risolvere la nave che ha operato il soccorso. E’ impensabile stare di nuovo in impasse un altro mese. E’ ridicolo e contraddice di nuovo le norme internazionali sullo sbarco in un porto vicino e sicuro. La situazione insostenibile, a bordo abbiamo 8 minori non accompagnati”. (ec)