Riforma affido condiviso, associazioni avvocati: “No alla standardizzazione”
BOLOGNA – Rifuggire da soluzioni standard identiche per tutti e rispettare l'interesse del minore coinvolto in una separazione. È la posizione delle principali associazioni di avvocati familiaristi (Aiaf, Cammino e Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia) rispetto al disegno di legge sull'affido condiviso depositato il 2 agosto in Senato da Simone Pillon, capogruppo della Lega in Commissione Giustizia, e il cui iter legislativo dovrebbe iniziare il 10 settembre. Tra le proposte: la shared custody ovvero i tempi paritetici di collocazione dei figli tra madre e padre, lo stop all'assegnazione della casa famigliare e la sostituzione dell'assegno di mantenimento con il mantenimento diretto. “Il disegno di legge Pillon coglie alcune criticità che derivano da una modalità appiattita di interpretare l'affido condiviso da parte della giurisprudenza - dice Maria Giovanna Ruo, presidente di Cammino, la Camera nazionale degli avvocati per la persona, le relazioni familiari, i minorenni – ma le soluzioni proposte non le risolvono perché sono stabilite a priori senza tenere conto dei casi concreti”. Per gli avvocati c'è quindi un'eccessiva rigidità nella proposta di riforma che non va nell'interesse del minore.
“Vediamo positivamente un intervento legislativo in questa materia che porti a una bigenitorialità effettiva - chiarisce Claudio Checchella, presidente dell'Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia – ma siamo perplessi sulla rigidità delle previsioni. In linea di principio va bene il criterio del periodo paritetico ma si deve anche tenere conto di una serie di parametri che permettano al giudice di adattare le soluzioni al caso in discussione”. Dello stesso parere, Caterina Mirto, vicepresidente Aiaf, Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori, “la materia familiare è un diritto vivente, ogni caso è diverso dall'altro e il magistrato non può avere previsioni rigide come questo disegno di legge vorrebbe dargli perché avremmo l'effetto contrario a quello che il senatore si prefigge, una standardizzazione. E non è questo che vogliamo”. Oltre ad aver elaborato una mozione da presentare al Congresso nazionale forense che si terrà a Catania ai primi di ottobre in cui chiedono di “rifuggire soluzioni standard identiche per tutti”, le associazioni lavoreranno insieme per “adottare una linea comune sulle modifiche da introdurre al disegno di legge”, precisa Checchella.
Quella dei tempi paritetici tra i genitori è una delle previsioni che ha fatto più discutere. L'obiettivo fissato è la bigenitorialità effettiva ma, come sottolinea Mirto, “la bigenitorialità non è dividere i figli a metà. Ho seguito casi in cui è stata stabilita una pariteticità dei tempi ma perché era stata la richiesta dei genitori ed era possibile farlo. Molti poi sono tornati indietro o, comunque, l'hanno adattata nel corso del tempo”. Insomma, una spartizione basata esclusivamente sui tempi paritari non va nell'interesse del minore. “Non si può decidere oggi e per sempre che il bambino o l'adolescente starà metà del tempo con la madre e metà con il padre – aggiunge Ruo – Bisogna tenere conto delle fasi evolutive del bambino, delle sue esigenze, delle relazioni: un neonato avrà maggior bisogno della madre, mentre nell'adolescenza può succedere che abbia più bisogno del padre. Non si può fare una previsione astratta perché nega il principio dell'interesse del minore che, come dice il Comitato Onu, è un principio elastico”.
Altre criticità deriverebbero dal fatto che, come scrive Pillon nella relazione illustrativa, “non potendosi più identificare un genitore collocatario, è opportuno ripensare l'istituto dell'assegnazione della casa familiare”. L'effetto di questa previsione, secondo Mirto, “sarebbe una duplicazione della vita del minore che dovrebbe avere due case, due scuole, due ambiti sociali diversi. Non so quanto sia corretto per un bambino o un adolescente essere sradicato dalle sue abitudini”. Senza contare che, non sempre, i genitori che si separano sono nelle condizioni economiche di permettersi due abitazioni. “Una separazione implica, infatti, una crisi non solo personale ma economica – continua Checchella – In 90 casi su cento, il padre o uno dei genitori non ha un'abitazione, si trova in una situazione precaria o deve tornare, quando possibile, a casa dei propri genitori. Quindi non sempre ci sono luoghi idonei per consentire ai figli di vivere periodi paritetici dall'una e dell'altro”.
Altro aspetto affrontato dal disegno di legge Pillon riguarda l'assegno di mantenimento erogato da uno dei genitori (solitamente il padre) a favore dell'altro. “Si ritiene maturo il tempo per applicare il principio del mantenimento diretto modalità di provvedere alla prole”, si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge. “Ho forti dubbi sul fatto che il mantenimento diretto sia la soluzione – dice Ruo – Se la previsione è per capitoli di spesa, ad esempio la madre si occupa dei vestiti e il padre delle scarpe, se uno dei due non adempie come si fa?”. Secondo Mirto, è una questione di responsabilità. “Il genitore responsabile non ha certo bisogno che il giudice gli imponga un contributo al mantenimento, ma se non c'è un'imposizione il genitore non responsabile potrà sempre dire 'tanto ci pensa tua madre' o 'tanto ci pensa tuo padre'. Anche questo, come la questione della casa, provocherà un moltiplicarsi dei contenziosi”. Inoltre, aggiunge Checchella, “bisogna considerare che i redditi non sono gli stessi così come i patrimoni, quindi anche il contributo per il mantenimento dei figli deve essere diverso. Ci sono parametri di giustizia nel caso concreto che questo disegno di legge tende a escludere, standardizzando le soluzioni”.
Il disegno di legge disciplina la mediazione familiare. “Una previsione importante – dice Checchella – a garanzia di una maggiore serietà”. Ma la proposta di renderla “obbligatoria” non trova tutti d'accordo. “Come Aiaf approviamo la mediazione familiare e l'abbiamo sempre proposta – dice Mirto - ma si tratta di uno strumento che deve essere accettato dai genitori e non può essere imposta”. Inoltre, c'è un problema sui tempi. “Non è detto che il tempo corretto per ricorrere alla mediazione familiare sia quello in cui la coppia 'scoppia' – continua Mirto – Tante volte abbiamo mandato la coppia in mediazione familiare lungo il percorso, a volte già in fase istruttoria, perché avevano messo la rabbia da parte ed erano pronti a rivedere il loro apporto genitoriale. La mediazione familiare obbligatoria è un controsenso”. (lp)