Caregiver e lavoro, missione impossibile? Appello della Fish
ROMA – Ikea licenzia una donna perché non può arrivare al lavoro alle 7, a causa della disabilità del figlio: accade a Milano. Un'altra donna viene licenziata dalla sua azienda, mentre è in congedo per assistere, anche lei, il figlio con disabilità: accade a Mantova. Due storie simili in pochi giorni, ma molte altre sono le storie, senza “lieto fine”, del rapporto complicato, spesso impossibile, tra la “cura” e il lavoro. E' ciò che vivono, sulla propria pelle, molti caregiver familiari, finora “invisibili” nella legislazione italiana, tuttora privi di tutele e supporti, ma ultimamente destinatari almeno di un fondo, approvato come emendamento alla manovra finanziaria. Un piccolo riconoscimento, che però non risolve certo la questione, ben più generale e complessa, dell'inclusione lavorativa e sociale di chi si prende cura di un familiare con disabilità, costretto spesso a vivere in una sorta di “esilio”, completamente assorbito dalla responsabilità e dalle incombenze dell'assistenza.
Oggi ci prova la Fish, una delle principali federazioni di associazioni per la disabilità, a evidenziare la criticità della situazione, proprio a partire dagli ultimi casi. “In questi giorni la cronaca ha portato in evidenza storie di discriminazione di lavoratori che assistono i loro familiari – scrive la Fish - Vicende emblematiche di un universo ben più ampio, silenzioso e subdolo, ma non meno drammatico: un certo mondo del lavoro marginalizza ed espelle chi, per condizioni proprie o dei familiari, si trova ad affrontare difficoltà enormi nel conciliare il tempo dedicato alla cura con quello del lavoro. Ecco allora i licenziamenti, i demansionamenti, gli isolamenti, le discriminazioni che una certa parte del mondo del lavoro pone in atto”.
E rimanda, la Fish, a un recente studio del Censis (“La gestione della cronicità: il ruolo strategico del caregiver. Il quadro generale ed un focus sul Parkinson”), che ha coinvolto un campione di caregiver familiari, in prevalenza donne (il 76,4% contro il 23,6% degli uomini). “Oltre ad altri seri impatti negativi – riferisce Fish - il 36,9% di loro dichiara che il lavoro di cura ha generato un deleterio effetto sulla propria occupazione, che va dai problemi per le ripetute assenze sul lavoro, alla necessità di chiedere il part-time, fino alla scelta di andare in pensione o di licenziarsi con la conseguente perdita di un lavoro retribuito”.
Secondo Fish, tuttavia, “non è il lavoro di cura la causa di tutto ciò quanto piuttosto il pregiudizio, l’assenza di forme di flessibilità (pur suggerite dalla normativa recente), di formule di conciliazione fra necessità occupazionali e famiglia”. A subire più pesantemente le conseguenze di questa situazione sono le lavoratrici donne alle quali, ancora oggi, viene delegata in modo preponderante l’attività di cura. “Ne pagano il conto più salato – evidenzia Fish -: part-time forzato, rinuncia alla carriera, marginalizzazione, retribuzioni più basse. E troppo spesso sono le prime ad essere licenziate nei momenti di crisi, generando nuove povertà. È in questo scenario che maturano, in modo tutt’altro che infrequente, situazioni come quella della madre licenziata perché non riesce a gestire straordinari e riabilitazione del figlio, o di quella che viene licenziata mentre è in congedo parentale, o molto più frequentemente del lavoratore demansionato o marginalizzato perché fruisce dei permessi per assistere il familiare con una grave disabilità. Altro che welfare aziendale! - commenta Fish - Altro che responsabilità sociale di impresa!”
E' questo, per la federazione, un problema che ha pesanti ricadute sull'intero Paese e su suo sistema sociale: “un Paese ed un tessuto produttivo che non sappiano porre attenzione alla giusta conciliazione fra necessità aziendali e le sempre più diffuse esigenze familiari dei lavoratori genera – afferma Fish - amplifica ed esaspera nuovi conflitti allargando implacabilmente la forbice dell’esclusione sociale”.Di qui l'appello della federazione, perché a partire da questa consapevolezza, si uniscano “in uno sforzo comune il legislatore, l’impresa, la pubblica amministrazione, le organizzazioni sindacali, le espressioni dell’impegno civile per trovare le ineludibili soluzioni”. (cl)