11 marzo 2002 ore: 16:03
Economia

I ''Caschi Bianchi'' compiono 10 anni. Ci sono più domande che posti per svolgere servizio nelle zone calde

BOLOGNA – In guerra si può entrare da soldati, ma anche da civili, come presenza non-violenta. Così fanno i Caschi Bianchi, obiettori di coscienza che hanno deciso di svolgere il servizio civile all’estero, in zone “calde”. Per il terzo anno consecutivo, la Regione Emilia-Romagna sostiene i progetti per l’impiego di obiettori in zone di guerra, all’interno di percorsi di pace e di prevenzione del conflitto. Sul territorio emiliano-romagnolo, in particolare, sono due le associazioni che, forti di una legge regionale sul servizio civile (la n. 38 del 1999), hanno proposto in questi anni il progetto dei Caschi Bianchi, ricevendo il sostegno dalla Regione: la Comunità Papa Giovanni XXIII, con sede a Rimini, e la Caritas. “Nel 2001 – ricorda Gianluca Borghi, assessore regionale alle Politiche sociali – è stata approvata la legge che istituisce il servizio civile volontario. Credo che occorra un maggior sforzo, da parte delle istituzioni regionali e locali del Paese, nell’assistere e sostenere progetti di questo tipo, dando l’opportunità a chi lo desidera di svolgere un servizio qualificato. La nostra Regione (una delle poche in Italia) si è impegnata su questo fronte, mostrando una particolare attenzione alla formazione di ragazzi e ragazze. Tant’è che abbiamo attivato uno sportello ad hoc per il servizio civile, per risolvere dubbi, questioni e problemi sull’argomento”.
Proprio quest’anno, i Caschi Bianchi compiono dieci anni: al ’92, infatti, risale la loro prima azione, con un viaggio a Sarajevo. “Siamo passati da un’esperienza di disobbedienza a una di legalità – sottolinea Samuele Filippini, responsabile degli obiettori di coscienza della Papa Giovanni XXIII – , ed oggi, dopo anni di lavoro, esiste una vera e propria rete di Caschi Bianchi, di cui fanno parte, oltre alla nostra associazione, anche la Caritas Italiana, Focsiv, Loc, Gavci. Presto aprirà anche alle ragazze. In una situazione come quella odierna, in cui il servizio civile è spesso svilito, e non si capisce bene che futuro possa avere, a maggior ragione c’è bisogno di un buon decreto legislativo applicativo che crei un servizio civile dignitoso, non subordinato o di basso livello”. Attualmente, nella comunità di don Oreste Benzi, ci sono più domande che posti: la convenzione per gli obiettori è di 20 ragazzi, le richieste almeno il doppio. “I giovani sono sensibili al grido dei poveri” ricorda il sacerdote, da sempre impegnato nella rimozione delle cause della povertà e dell’ingiustizia sociale. E due sono i giovani che hanno svolto un’esperienza recente in zona di conflitto. Fabio Cea, 21 anni, di Bari, obiettore in servizio presso la Papa Giovanni, è appena tornato da un viaggio di due settimane in Israele e nei Territori Occupati. “La presenza in luoghi di guerra di semplici persone che non sono né soldati, né diplomatici e che credono nella forza della non-violenza – sottolinea – è, per chi vive quotidianamente con meno di un dollaro la giorno o sotto i rombi degli F16, una speranza, uno spiraglio di luce. In questo modo la presenza dei Caschi Bianchi perde l’accezione di eroi ed utopisti, ed acquista invece un valore politico e umano”. Un altro ex Casco Bianco, Luca Ciulli, ha svolto il servizio nella Repubblica Democratica del Congo e in Kenya, in un piccolo slum di Nairobi: “Il Casco Bianco – dice – va in giro a dire questa verità: che la guerra non ha mai portato a nulla”. (cv)
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