Metà degli immigrati a Catania ha un lavoro. Tante le mansioni non qualificate
Muratore lavora nel cantiere
CATANIA – La metà degli immigrati a Catania ha un lavoro, con un tasso di occupazione più alto all’interno della comunità cinese; la maggioranza degli occupati si concentra nel settore dei servizi alla persona e la gran parte svolge mansioni manuali non qualificate. Sono alcuni fra i principali dati emersi dalla ricerca “Alle pendici dell’etnico. L’offerta del lavoro degli immigrati: una risorsa per il settore della ristorazione e del turismo catanese?”, realizzata nell’ambito del progetto I.S.I. – Integrazione Sociale degli Immigrati e presentata ieri alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Catania.
La ricerca, condensata in un libro, è stata condotta attraverso 514 interviste realizzate con immigrati in vari luoghi di Catania e nel hinterland (centri per l’impiego, prefettura, sportello unico immigrazione, ufficio stranieri/casa dei popoli, sindacati, caritas, centro Astalli, associazione Si.Ro, ambulatorio immigrati dell’ospedale Cannizzaro, associazione Accoglienza e solidarietà, ambulatorio di psichiatria transculturale dell’ASP, mercato, piazza Borgo).
Come hanno spiegato la docente Maria Teresa Consoli e i dott. Maurizio Avola, Rosario D’Agata e Carmelo Spampinato, responsabili del gruppo di ricerca, quello catanese rappresenta “un tipico esempio di modello metropolitano di inserimento occupazionale degli immigrati, con un lavoro concentrato nelle attività di cura, collaborazione domestica e altre attività dequalificate del terziario urbano, un peso rilevante del lavoro autonomo nel piccolo commercio, diffusione del lavoro irregolare, ampia partecipazione delle donne e fenomeni di ‘etnicizzazione’ del lavoro”.
Fra gli immigrati intervistati, il 47% risulta occupato: cinesi più di tutti gli altri, mauriziani e sri lankesi sopra la media, europei dell’est sotto; tra gli occupati, il 58% è dedito ai servizi alle persone, il 19% al commercio, l’8% in alberghi e ristoranti; il 79% svolge mansioni manuali non qualificate.
A Catania sono inoltre evidenti le “specializzazioni etniche”: nei servizi alle persone sono più occupati i mauriziani (84%), seguiti da sri lankesi (70%) e rumeni (60%), mentre ben l’81% dei cinesi occupati è dedito al commercio.
È inoltre diffuso il lavoro instabile (20%) e in nero (30%), le retribuzioni sono contenute (3 su 4 percepiscono al massimo 800 euro al mese) e la modalità principale di inserimento risulta la segnalazione da parte dei connazionali.
“La ricerca mette in luce, in maniera compita, aspetti molto significativi delle dinamiche dell’occupazione degli immigrati. Un’eventuale prosecuzione – ha detto il Fabio Lo Verde, docente di Sociologia dei consumi all’Università di Palermo – potrebbe riguardare la comparazione con altre città siciliane e l’incidenza delle reti etniche”.
Il focus mette in evidenza come il 43% degli intervistati abbia avuto esperienza di lavoro nell’ambito della ristorazione (prevalentemente camerieri, aiuto cuoco, lavapiatti, addetto alle pulizie) e 3 su 4 desidererebbero lavorare nel settore (una cospicua minoranza avvierebbe un’attività). Gli immigrati esprimono una domanda di ristorazione etnica, ma sono abbastanza insoddisfatti dell’offerta (3 su 4 la giudicano scarsa). “È questo un settore dalle spiccate potenzialità di inserimento” come ha messo in rilievo la Rosaria Giuffrè, dirigente dello Sportello immigrazione della prefettura di Catania e presidente del comitato di pilotaggio del progetto I.S.I., sottolineando il diffuso bisogno di “competenze da parte degli immigrati, per un ingresso regolare nel mondo del lavoro, com’è negli obiettivi di questo progetto”.
I numerosi immigrati che lavorano nel campo della ristorazione occupano ruoli di basso livello. Si tratta spesso dei cosiddetti lavori delle “cinque P”: pesanti, pericolosi, precari, poco pagati, penalizzati socialmente (Ambrosini, 2011).
“Esistono sul territorio catanese competenze e culture culinarie che possono avere un riscontro non solo da parte di consumatori appassionati di cucina esotica o etnica – scrivono i curatori della ricerca -. In questo frangente, percorsi di riqualificazione delle skills possedute dai migranti, come corsi di alfabetizzazione alla lingua italiana, formazione all’imprenditorialità, nonché l’accesso a opportunità di micro-credito, possono costituire una possibilità di sviluppo per quei cittadini stranieri che vogliono scommettersi nel settore della ristorazione, puntando alla prospettiva di mettersi in proprio non solo come possibilità di maggior guadagno, ma anche come momento di riscatto sociale”. (set)