27 giugno 2013 ore: 17:02
Immigrazione

Rifugiati: nella "fabbrica dei suicidi" di via Slataper a Firenze

Viaggio tra i 200 richiedenti asilo che vivono nell’occupazione alla periferia nord di Firenze, tra povertà e depressione. Guled si è tolto la vita due settimane fa, alcuni hanno tentato di farlo in passato, altri compiono atti di autolesionismo. La regione investe 480 mila euro
Emiliano Mancuso/Contrasto Rosarno: immigrato di spalle

Foto di Emiliano Mancuso

FIRENZE – Moahmed Guled non è stato un’eccezione. Il giovane somalo suicidatosi due settimane fa nella palazzina di via Slataper, alla periferia nord di Firenze, non è stato l’unico rifugiato dell’edificio a compiere un gesto disperato. Nello stabile occupato i tentati suicidi proliferano. Drammatiche le condizioni di vita, precarie le condizioni igienico sanitarie. Tutti i 200 occupanti sono rifugiati politici, in fuga dalle guerre che imperversano in Somalia, Eritrea, Sudan, Etiopia. Eppure, nonostante siano tutti richiedenti asilo, non hanno un posto sicuro in cui dimorare. I letti a disposizione nel comune di Firenze non bastano per tutti e qualcuno è costretto a vivere in edifici abusivi. Spesso ai confini della vivibilità. Nei bagni di via Slataper non ci sono le docce e per lavarsi bisogna utilizzare l’acqua del rubinetto. La luce spesso manca e bisogna utilizzare torce e cellulari. Le stanze sono sovraffollate da quattro, cinque materassi. Tutt’intorno è un ammasso di valigie e sacchetti, fornellini e carica batterie, coperte e vestiti, scarti di cibo e lattine. “E’ comunque meglio che stare sulla strada” tiene a precisare Qasim. “Se non ci fosse questa casa non avremmo alternative in cui andare”. Fuori da ogni stanza c’è il nome dei migranti che vi dimorano all’interno. Tra gli occupanti anche una quindicina di donne e una bambina piccola. Qualcuno lavora, ma sono impieghi precarie pagati pochissimo. Per mangiare ci si arrangia alla Caritas, a pranzo, mentre a cena si va avanti a forza di scatolette di tonno e pezzi di pane.

In questo inferno di periferia, considerati anche i trascorsi di guerra e fuga dei migranti, è facile ammalarsi psicologicamente. Le giornate trascorrono nell’inerzia, le ricerche di un lavoro vanno quasi sempre a vuoto e allora meglio restare a dormire. Per non pensare. Secondo i testimoni ci sarebbero anche casi di autolesionismo, mentre ammontano già a tre i tentativi di suicidio. Idris ci ha provato circa un mese fa. Stava scavalcando il balcone del quarto piano quando una residente del palazzo di fronte ha cominciato ad urlare. Gli amici di Idris si sono precipitati nella sua stanza e hanno fatto desistere l’uomo dal drammatico gesto. Idris ti osserva con lo sguardo muto. Quando Guled si è ammazzato, lui non si è scomposto, limitandosi a dire: “Il prossimo sarò io”. Ha 25 anni ed è scappato dall’Etiopia molti anni fa, lasciando una moglie e due figli: “Non li sento quasi mai perché non ho soldi per telefonare” dice sconsolato. Fino all’anno scorso era inserito in un progetto dell’Arci di Prato, poi la strada. Ci sarebbe posto in qualche albergo popolare, ma preferisce una struttura definitiva, seppur occupata. Da quando è senza un alloggio dignitoso ha cominciato a soffrire di depressione: va avanti a forza di psicofarmaci. Tra un mese ha un appuntamento con uno psicologo dell’ospedale di Careggi. Durante il giorno sta a letto oppure vaga a vuoto per la città. I suoi amici cercano di sostenerlo ma lui ha l’aria sempre triste. Ha lavorato in un’azienda di pulizie ma i titolari non l’hanno mai pagato e lui si è licenziato, aprendo una causa nei loro confronti.

Ma Idris non è l’unico ad aver tentato il suicidio. Come lui c’è Kalid, 26 anni, che soffre di depressione da quando ha perso il lavoro come pellettiere. Ha tentato il suicidio a Pisa, provando a gettarsi dal quinto piano di un palazzo. E’ stato un anno all’interno di un progetto per richiedenti asilo, ma poi il tempo a sua disposizione è terminato ed è stato costretto a uscire. E poi c’è Mire, un tentato suicidio due mesi fa, trovato dalle forze dell’ordine a spaccare i vetri delle auto parcheggiate. E’ stato anche in galera, “forse stava meglio lì” dicono i suoi connazionali. Una volta, racconta chi lo conosce, “ha addirittura tentato di farsi ammazzare correndo in mezzo all’autostrada”.
Per tentare di superare i disagi della palazzina, la regione Toscana ha investito 480 mila euro per un progetto assegnato alla cooperativa Cat che ha lo scopo di prendere contatto con gli occupanti, stilare una casistica e avviare processi di soluzione.

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