20 settembre 2010 ore: 11:00
Società

Roma, preghiera alla moschea “abusiva” a Tor Pignattara. Ma lo spazio non basta

E’ un’associazione culturale, ma il venerdì diventa luogo di culto per oltre 500 musulmani. Mai nessun problema con la polizia, ma resta l’emergenza spazio: “Non c’è la volontà di accoglierci”. Rigidità dal comune, il municipio disposto a discuterne
Tommaso Bonaventura/Contrasto Musulmani pregano in una moschea di Roma

Musulmani pregano in una moschea di Roma

ROMA – Via Serbelloni, Roma. Il venerdì verso l’ora di pranzo, il marciapiede si riempie di fedeli inginocchiati con il viso rivolto alla Mecca. Così pregano più di 500 musulmani, mentre altri 300 sono stipati in un locale al civico 25. Eppure, a Roma c’è l’unica moschea italiana: 30 mila mq a disposizione dei fedeli della città. “Ma perché, scusi, i cittadini cattolici devono andare tutti a pregare a San Pietro? – risponde Siddique Nure Alam detto "Bachu", presidente dell'Associazione Dhuumcatu –. Le stime dicono che sono almeno 60 mila gli islamici a Roma, di cui non è possibile sapere i praticanti. Secondo lei, hanno tutti la possibilità, il venerdì all’ora di pranzo, di prendere e andare alla moschea? Mettiamo l’esempio di un fedele che lavora a Garbatella: ci mette quattro ore tra andare e tornare. Crede che il datore di lavoro lo concederebbe?”.
 
Così, fioccano le moschee cosiddette ‘abusive’, come quella di Tor Pignattara, protagonista di alcuni commenti di politici romani in occasione della fine del Ramadan, l’ultimo 9 settembre. “Per molti cittadini - aveva dichiarato quel giorno Augusto Santori, consigliere Pdl del XV Municipio - si conclude l’incubo di vivere con il costante andirivieni per via di una moschea abusiva sita all’interno del proprio palazzo, costituita apparentemente come centro culturale ma che però oramai ha invaso la quotidianità di decine e decine di residenti”.
 
“Ogni sala preghiera della città si trova nelle sedi di associazioni culturali islamiche - spiega Bachu, che gestisce il luogo di preghiera di via Serbelloni -. Anche perché se si manda al comune la richiesta per destinare lo spazio a luogo di culto, la risposta che si ottiene è negativa”. Ma nemmeno l’aggiunta dei centri di preghiera abusivi basta a risolvere il problema: i locali sono troppo piccoli. “In via Serbelloni il locale è di 220 mq ma dovrebbe essere di almeno 700”, spiega Bachu. Fino a tre anni fa, il trambusto e l’andirivieni del venerdì mettevano in allarme i residenti della zona, che chiamavano per un blitz le forze dell’ordine. “Ma la polizia non ha mai trovato niente” racconta Bachu. E si rammarica del fatto che “nessuno ti lascia un foglio che certifica che è tutto a posto, che di terroristi o cose del genere non ce n’è”.
 
L’associazione Dhuumcatu ha anche scritto agli enti locali per richiedere la chiusura di via Serbelloni “solo il venerdì, per 20 minuti e per 50 metri, giusto il tempo di pregare”, chiarisce Bachu: un modo per tamponare l’emergenza spazio. Il comune, però, ha risposto con un secco no, mentre il VI Municipio ha dato la sua disponibilità, “dato che il lasso di tempo richiesto è breve e la strada è poco trafficata - come dice il presidente Giammarco Palmieri (Pd) - anche se poi sta alla polizia municipale eseguire l’ordinanza”. “Stabilire una chiusura fissa è comunque un problema – aggiunge Palmieri – e ci rendiamo conto che è una soluzione che per il lungo periodo non vale. Come Municipio pensiamo che l’amministrazione cittadina debba affrontare la questione, perché chi prega, qualunque sia il suo dio, ha diritto di farlo nelle condizioni adeguate”. Per Bachu, il problema è solo uno: “Non c’è una reale volontà politica di accogliere altre fedi”. (Lorenzo Bagnoli)
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